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FLYING ON

RIVOGLIAMO I SOLDI. “RIVOGLIAMO”, NON “RIVOLIAMO”. ANDREA GIURICIN DESCRIVE LA SITUAZIONE DEI TRASPORTI IN ITALIA

Volare, oh oh. Così si cantava. Ora rimane la forza dell’oh-oh, più nel senso di una lamentela, di un «ahimè», di un monito anche un po’ romanesco. Ryanair, su cui per risparmiare low cost dovremmo salire con i nostri valigini striminziti dalle dimensioni pignole e limitate, eppur pienissimi, ha appeso l’ala al chiodo per un attimo e si è fatta parlar dietro da tutto il mondo: la compagnia da cui scappano i piloti (uno tra tanti Giorgio Pontico, ex primo ufficiale di Ryanair, che ha dichiarato di essersi trasferito alla Qatar Airlines quadruplicando il suo stipendio e garantendosi più sicurezza), molti dei quali arrabbiati perché non fanno pause di riposo, sono sfruttati e quant’altro. Burrasca in cielo e atterraggio d’emergenza, per gli italiani anche quella piccola, velata, sottile soddisfazione nel dire: , consapevoli che con Alitalia, valigie a parte, non si parte nemmeno.

Però in troppi, una media di 48 voli al giorno per sei settimane, non sono partiti né partiranno con un biglietto Ryanair già acquistato per i mesi di settembre e ottobre (al momento) e il cui rimborso appare incerto. Lo definisce «un pasticcio» lo stesso ceo Michael O’Leary, che per questo chiede scusa, «personalmente, a ognuno di voi», così come fa lo chief marketing officer di Ryanair Kenny Jacobs, «sinceramente, con ognuno dei 315 mila clienti i cui voli sono stati cancellati nel periodo di 6 settimane da settembre a ottobre».

Le scuse non bastano, rivogliamo i soldi. Rivogliamo, non «rivoliamo». Anche Carlo Rienzi, presidente del Codacons, lancia la bomba carta: «Abbiamo le prove che Ryanair sta rifiutando ai viaggiatori i risarcimenti relativi ai voli cancellati con un preavviso inferiore ai 14 giorni e le porteremo all’Enac, chiedendo sanzioni durissime nei confronti della compagnia aerea», mentre l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha aperto un procedimento istruttorio per presunte pratiche commerciali scorrette in violazione del Codice del Consumo.

Non dimentichiamo l’Alitalia, compagnia di bandiera. O forse meglio dimenticarla, e dimenticare il tricolore intero: il problema in Italia non è solo quello aereo. Anche a terra non si sta poi così bene: i tassisti litigano con la democrazia di Uber et altera, e con tutti quei privati che, attraverso app e smartphone, si sono presi quella fetta di mercato che era loro (e, per questo, carissima), a partire dallo stesso BlaBlaCar che, pur sembrando innocuo, ha generato, in effetti, una vera e propria alternativa conveniente al trasporto in grande, in questo caso ostacolando pullman, autobus, navette, treni, ncc e quanti altri. L’economia dello sharing è più democratica, in effetti, da un’economia che ci ha deluso: e ci ha deluso non perché le previsioni di Keynes fossero sbagliate, né lo fosse quanto insegnava ai suoi allievi Carlo Pace, ma perché essa non è stata, non è, e non sarà altro che politica. Un Halloween per tutti i giorni, la politica travestita da economia che fa, alle porte, «dolcetto o scherzetto?». Il dolcetto lo fa pagare, e lo scherzetto è salatissimo.

Dentro molte città si sta male: prendiamo l’esemplare Roma. Esemplare perché da una parte dà modo di valutare l’operato dei pentastellati e rifarsi a questo per poi votare a livello nazionale (quando ci sarà concesso di votare); dall’altro perché – ombelico del mondo, capitale di Italia, erede di imperatori e conquistatori, regina delle «botticelle» con i cavalli in centro – è perennemente in panne. A partire dall’Atac. Quindi scioperi, lavori in corso, metropolitane di secolare costruzione, pullman e taxi che scaricano i turisti in mezzo alle strade, allagamenti, auto blu e forze dell’ordine che sfrecciano.

Molti altri hanno parlato e parleranno di trasporti. A Specchio Economico (www.specchioeconomico.com) e al Corriere del Volo, ne parla il consulente del top management trasportuale Andrea Giuricin: laurea specialistica con lode in Economia presso l’Università di Milano Bicocca con una tesi proprio sull’evoluzione del mercato del trasporto aereo europeo dopo la liberalizzazione, un dottorato allo IAPR con tesi sul settore aeroportuale lombardo, sul settore aereo è autore di diverse pubblicazioni e del libro «Alitalia, la privatizzazione infinita». Anche docente all’Università Milano Bicocca, visiting professor alla China Academy Railway Science; insegnante per la University of Southern California, la University of Minnesota e la Michigan State University, research fellow per l’Istituto Bruno Leoni. È anche ceo di Tra Consulting, società a Barcellona specializzata nella consulenza strategica nel settore dei trasporti, turismo e telecomunicazioni, e direttore dell’ufficio studi di Confturismo-Confcommercio. Nel 2009 ha creato l’ufficio studi per Italo-NTV. Collabora con le Autorità dei Trasporti e della Concorrenza dalla Spagna fino alla Malesia. E viaggia molto, per l’appunto.

Domanda. Ryanair: può descrivere perché e come si è giunti a tanto, cosa prevede accadrà, quali sono a suo parere gli errori commessi e cosa dovrebbe farsi per risolvere la situazione con il «danno minore»?
Risposta. Ryanair, con l’errore commesso ed ammesso dal suo ceo O’Leary, subisce un grave danno d’immagine. La compagnia, con il programma AGB, «Always getting better», aveva migliorato i propri servizi, tanto da avere stabilmente superato la barriera del 90 per cento per il «load factor»: l’errore deriva da una sbagliata programmazione riguardo ai piloti nel breve periodo, ma fatto più preoccupante è la carenza degli stessi per lo sviluppo della compagnia, che ha come obiettivo una continua crescita della flotta. L’avere esternalizzato in molti casi i piloti ha sicuramente avuto un impatto positivo per la riduzione dei costi e la maggiore flessibilità ma al tempo stesso ha provocato una minore fidelizzazione degli stessi, che alla prima occasione hanno preso il volo verso le offerte migliori di altre compagnie. Il loro rifiuto al bonus di 12 mila euro è solo la dimostrazione dell’importanza di questa risorsa. Non sarà facile risalire la china, per una compagnia che comunque rimane la più solida nel panorama europeo con il 23,16 per cento di margine operativo.

D. Alitalia, compagnia di bandiera: lo sarà ancora, una volta che passerà in mano straniera?
R. Alitalia è ormai un vettore regionale nel panorama europeo. Non ha più senso, a mio parere, parlare di vettori di bandiera. Il fatto che sia stata italiana, prima in mano pubblica e poi privata, non ha migliorato la situazione di una compagnia che ha continuato a perdere centinaia di milioni di euro ogni anno. L’interesse italiano è fatto da qualunque compagnia abbia i mezzi necessari per investire miliardi di euro in flotte che sviluppano il traffico e la connettività nel nostro Paese: questo non mi sembra essere stato il caso di Alitalia.

D. Ryanair parteciperà alla gara Alitalia, così dichiarava. Ed ora? Mentre AirFrance non è nemmeno interessata. Siamo un po’ lo «zimbello» di tutti, come in effetti ci sentiamo?
R. In effetti, la gara per Alitalia sta andando per le lunghe, mostrando la difficoltà del processo stesso. Non è facile acquistare una compagnia che ha perso 3 miliardi di euro dal 2009 ad oggi. Per quanto riguarda la vendita, AirFrance-KLM non sembra essere interessata, mentre non ho mai creduto troppo all’acquisto da parte di Ryanair, che ha un modello di business troppo differente. Alitalia non ha la flotta e i piloti che servono a Ryanair e non si capisce perché O’Leary dovrebbe cambiare un modello di business, che comunque è stato il più remunerativo negli ultimi anni, per prendersi una compagnia come Alitalia.

D. Low cost a lungo raggio e aerei di «plastica», un pericolo o un vantaggio per l’Italia?
R. Qualunque innovazione fa bene al consumatore e al nostro Paese. L’arrivo degli aerei di «plastica» permette una riduzione di costo del trasporto aereo e questa serve, a sua volta, a ridurre il prezzo medio del biglietto a parità di condizione. Il lungo raggio a basso costo permetterà di connettere meglio l’Italia, che a causa della debolezza di Alitalia non è mai stata ai vertici degli indici di connettività.

D. È molto evidente che nel nostro Paese si distinguono, per interessi, consumatori e compagnie: perseguono, infatti, obiettivi differenti. I primi, spendere poco e viaggiare con qualità, com’è in tutto il resto del mondo; i secondi, monopolizzare (nonostante il regime di liberalizzazione e concorrenza) e guadagnare, risparmiando su tutto (a partire dagli stipendi dei piloti, come si è visto). Non si comprende che la ripresa dell’economia parte dai consumatori (passeggeri, in questo caso), che costituiscono il «volano» anche per il «volo» delle compagnie casalinghe. Mentalità irrimediabile o sistema bloccato?
R. Proprio dall’incontro delle esigenze tra domanda e offerta arrivano le soluzioni migliori. L’importante è non mettere troppi lacci e lacciuoli al mercato con decisioni politiche senza senso o sussidi improbabili. È bene difendere la concorrenza per potere avere un mercato efficiente dove le regole sono uguali per tutti gli attori. La continua crescita del trasporto aereo è un fatto molto positivo. Tra il 1997 e il 2016 il trasporto aereo italiano è cresciuto da 53 a 134 milioni di passeggeri, nonostante l’economia italiana non sia stata affatto brillante nell’ultimo ventennio. Non sarei dunque così negativo per il sistema aereo italiano, che di fatto ha visto una crescita impetuosa.

D. Trasporti «alternativi»: BlaBlaCar, Flixbus, Uber e quanti altri, oltre ai car sharing e pooler. L’Italia è più restia degli altri al low cost da una parte, alla concorrenza tra privati dall’altra. Perché retrograda? Perché gelosa? Perché troppo «corrotta» in ambito trasporti?
R. L’Italia sembra avversa all’innovazione e all’evoluzione del sistema di trasporto. La forza di alcune lobby, difese da politici di vecchio e nuovo corso, di fatto blocca lo sviluppo del nostro Paese. Non parlerei di «corruzione», quanto di una visione stantia del settore dei trasporti. Non a caso la protesta dei taxi, difesa anche dal Movimento 5 Stelle, dimostra proprio che nulla cambia in Italia. La parola concorrenza fa paura a molte categorie, ma la libertà di scelta è uno degli elementi più positivi per i cittadini.

D. Atac, altra tragedia. Suo parere e previsioni?
R. Atac ha bruciato oltre 6 miliardi di euro dal 2009 ad oggi. Un dato che dovrebbe sconvolgere qualunque cittadino che invece si fa trasportare dalle parole della politica. Sei miliardi arrivati tramite sussidi e perdite ripianate per un’azienda che ha un problema su tutti: costi elevati. Il 50 per cento dei costi totali è legato al personale, pari a oltre mezzo miliardo di euro, ed è chiaro che la prima necessità aziendale sarebbe una revisione di questa voce di costo. Ma nessun politico ha la forza e la volontà di tagliare i 2 mila dipendenti di troppo. Tutti i soldi dei cittadini sono quindi andati in spesa corrente, con il conseguente invecchiamento della flotta dei bus e delle metro, tanto che il servizio dei bus è crollato di circa il 15 per cento nell’ultimo triennio. Sarebbe necessario ripartire da zero e fare una gara trasparente e pubblica per l’assegnazione del servizio, ma non credo che questa classe politica abbia voglia di guardare in faccia la realtà.

D. Quali regole sarebbero necessarie per far ripartire, nel vero senso della parola, i trasporti italiani?
R. I trasporti italiani hanno bisogno di concorrenza e di trasparenza. Basta sussidi pubblici dati direttamente senza gare, basta soldi dati ad aziende decotte che non stanno in piedi e basta alla politica che crede di potere fare l’imprenditore.

D. Politica: ovunque si muova, la situazione non migliora ma degenera. Ma la questione dei trasporti dovrebbe essere industriale. Scioperi, problemi, annullamenti, rimborsi impossibili… Esiste una possibilità di scindere il trasporto dagli interessi politici e farlo rientrare in quelli del Paese, dunque delle imprese, o è mera utopia?
R. Il modo migliore per scindere questo rapporto malato è avere delle gare trasparenti. Pensiamo al trasporto pubblico locale: cosa c’è di meglio di fare un processo di assegnazione del servizio tramite gara? Queste gare devono essere ben fatte e disegnate, ma solo in questo modo si ridurrebbero i sussidi per almeno 2 miliardi di euro l’anno e si migliorebbe il servizio ai cittadini. Risparmiare è possibile solo se scinde il rapporto tra politica e aziende di trasporto.

D. Quali sono i Paesi per lei esemplari in tema trasporti?
R. È sempre difficile prendere ad esempio altri Paesi, perché è chiaro che le condizioni sono molto differenti. L’Italia è stata un esempio per l’apertura del mercato ferroviario ad alta velocità, mentre la Svezia è stato forse il Paese che ha aperto meglio tutto il settore ferroviario. Nel settore del trasporto aereo, la Gran Bretagna è quello che vede il maggior traffico aereo, con una forte presenza di vettori low cost e, nel contempo, un’ottima connettività intercontinentale.  (Romina Ciuffa)

Anche su SPECCHIO ECOONOMICO – novembre 2017

 

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